

di Vitaliano Ranucci
L a presenza di Giovanni Ragozzino nel mondo dell’arte investe un caso non molto comune dal momento che egli con un procedimento a lui molto congeniale ha dedicato alla pittura buona parte della sua vita. Egli ha saputo accostare le doti dell’umiltà, di cui era maestro, a quella della capacità. E’ pittore eclettico sotto molteplici aspetti, dato che non esistono soggetti che non sono stati da lui trattati o che non lo abbiano interessato prima come uomo e poi come artista. A differenza di tanti altri pittori che si accingono ininterrottamente ad impegnarsi in mostre personali ed in presenze in varie città a volte simultaneamente, Giovanni Ragozzino è un’eccezione perché ha una concezione più che seria del fare pittura, vale a dire realizzare un’opera che soddisfi lui e non tenga affatto conto del plauso e del consenso di quel pubblico che frequenta le gallerie più per mondanità che per gusto e piacere dell’arte.
Ecco perché il nostro buon don Giovanni (così soleva farsi chiamare) moltissime volte avrebbe potuto essere all’attenzione di una critica anche esterna alla sua regione, ma ha preferito essere schivo, ha preferito dialogare con le cose, con gli oggetti, con la natura per un più palpitante rapporto ed intimo raccoglimento.
Si suole pensare che la serietà del lavoro di Ragozzino fosse presa a campione di un modo di intendere e di sfruttare le proprie capacità senza cadere in quelle tentazioni dove l’adulazione, l’insincerità, la superbia snaturano le sempre più scarse doti artistiche dei “creatori” ed il sempre più declinante gusto di quelli che una volta si chiamavano artisti. Molti di noi lo ricordano con quel suo buffo berretto ed il grande papillon fermarsi per dipingere dove capitava o dove si sentiva a suo agio, convogliando sulle tele o sui cartoni soggetti a noi molto cari, nature morte; scene campestri; interni senza nascondere quel suo amore per gli artisti maestri del realismo, dell’impressionismo e dell’espressionismo. Egli è stato artista di grande sensibilità creativa e di assoluta padronanza nella ricerca del colore. Alla pittura en plein air affiancava capacemente la pittura così detta a cavalletto, affrontando sia il paesaggio, sia la figura, esternando nella ritrattistica una congenita predisposizione.
Preferiva il contatto, il rapporto con la natura, per scoprire in questo modo alcune sfumature di colore che nello studio a causa di forza maggiore sfuggono e restano in sordina.
Le sue opere sono costruite tutte secondo un rigoroso rapporto tra le parti al sole e le zone d’ombra, e i contrasti cromatici si risolvono in termini di chiaroscuro, tanto che le “macchie” si possono considerare “macchie-luce” piuttosto che “macchie colore”.
Ripetuti incontri con altri artisti non hanno influito sul suo stile pittorico che anche se finì con il diventare un isolato, lo portarono a creare autentici capolavori nell’arte del ‘900.
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Biografia
In un tardo pomeriggio di fine settembre del 1979, in una grigia saletta di rianimazione dell’Ospedale Civile di Caserta, si spegneva il pittore Giovanni Ragozzino. Era nato a Sparanise, il 28 agosto del 1902 in una famiglia modesta ma non di disagiate condizioni economiche. Il padre ferroviere, avrebbe voluto farne un professionista, ma il ragazzo cominciò a manifestare precocemente una spiccata vocazione per il disegno. Trascorreva buona parte della sue giornate a trafficare con matite e pastelli e, spesso quando non aveva a portata di mano la carta da disegno, si divertiva a schizzare paesaggi e ritratti sulle pareti di Palazzo Fedele, casa dove lui abitava.
Queste sue particolari inclinazioni erano guardate in famiglia con una certa perplessità ma, la mamma, si dimostrava invece, entusiasta dei lavori del piccolo Giovanni e lo sosteneva ed incoraggiava in tutti i modi. Arrivato il momento in cui si dovette decidere sul futuro del giovane si tenne un consiglio di famiglia e fu suo zio Paolo, brillante ufficiale dell’esercito, entusiasta sostenitore delle capacità del nipote a consigliarne l’iscrizione all’Accademia delle Belle Arti d Napoli. A Napoli, oltre a trarre profitto degli appropriati insegnamenti accademici, Giovanni Ragozzino incominciò a frequentare gli ateliers di pittori affermati, come il Guardascione e degli ultimi epigoni dell’Ottocento Napoletano quali i maestri Irolli, Mancino, Migliaro.
Come pittore era già abbastanza noto nell’ambito di terra di Lavoro, ma gli eventi bellici finirono con il ripercuotersi pesantemente sia nella sua attività artistica che sulla vita privata.
Poi, finalmente arrivarono per tutti tempi migliori ed anche per il pittore Giovanni Ragozzino cominciò a spianarsi definitivamente la via maestra del successo. Alcune mostre importanti, allestite in varie città italiane ( Trieste, Napoli, Roma ecc.) fecero molto scalpore negli ambienti artistici; molti critici di rilievo cominciarono, ad interessarsi alla sua pittura ed a scrivere in termini assai lusinghieri. Tra gli altri, significativamente, il francese Charles Millet affermaca….voilà un peintre de tempérament, d’un touche vigoreuse, d’un belle palette et qui sait aimer la lumierè et composer sans rien ritirer a la nature… c’est la peinture taillée en pleine matiére, genreuse et sensible o§ l’impressionisme et l’expressionisme s’accordent avec boneheur dans le naturalsme, tout cela exprimé sans littérature inutile…
In seguito tutto divenne più facile. La sua fama si allargò e consolidò in corrispondenza ad una attività artistica instancabile e sempre di alto livello.
Probabilmente,il quarto di secolo successivo agli anni ’50 è da considerarsi il periodo più fecondo del suo itinerario artistico, il tempo delle grandi mostre, il tempo delle sue creazioni più felici. Memorabili le sue personali allestite a Roma a via Margutta, a Napoli in via dei Mille, al Maschio Angioino, al Circolo Nautico di Posillipo, ed ancora a Trieste, a Milano a Caserta. Piaceva molto la sua pittura, imponente e solare, quel cromatismo superbo con cui con cui orchestrava le sue rappresentazioni paesistiche. Aveva, infatti, una particolare sensibilità per questi motivi d’ambiente che rendeva in modo impareggiabile attraverso una tecnica concisa, serrata, che non indulgeva al dettaglio e che pure trovava la grazia e l’agilità necessaria per concedere ampio respiro alla trama figurativa.Con pochi tratti di una pennellata fluida e nervosa, riusciva, a caratterizzare perfettamente un personaggio, ad evidenziare umori e radici antiche, a tirarne fuori quell’essenza sorniona e beffarda, fatalistica e distaccata che ci sembra costituire l’anima più autentica del popolo. La sua pittura fu, innanzitutto, espressione sincera del suo carattere pudico ed orgoglioso, semplice e schietto, ma, a ben guardare, fu anche, o forse soprattutto, la testimonianza appassionata di un viscerale attaccamento al suo Paese natale ed alla sua Gente; un lungo, tenero canto d’amore per questo generoso lembo di terra Calena, sciolto nel sole di rustici casolari di campagna, fra gli uliveti verdeggianti ed i luminosi sentieri di collina.